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TORINO. Vedova in dialogo con il suo profeta Tintoretto.

(12/1/26) Accostare i capolavori di uno degli ultimi e più grandi esponenti dell’arte rinascimentale alle opere realizzate 400 anni dopo da uno dei principali rappresentanti dell’Arte informale del dopoguerra, che nel primo ha sempre riconosciuto il proprio maestro d’elezione. Leggere in parallelo i lavori dei due pittori, entrambi veneziani ed entrambi tra i massimi interpreti della propria epoca: Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1518-94) ed Emilio Vedova (1919-2006).
Indagarne le scelte espressive, tra similitudini e dissonanze, rendendo fruibile la loro dirompente forza espressiva, colta nei rispettivi momenti storici ed ancora oggi nel tempo attuale. È questo il progetto della mostra «Vedova Tintoretto. In dialogo», presentata dal 19 settembre al 12 gennaio 2026 nel Palazzo Madama al Museo Civico d’Arte Antica di Torino.
«Un percorso ben ordinato nella sequenza, ma anche visionario, spiega Gabriella Belli, cocuratrice insieme a Giovanni Carlo Federico Villa della mostra, organizzata da Palazzo Madama e dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova di Venezia. Delinea con estrema scientificità i processi della formazione del pensiero di Vedova sui testi pittorici di Tintoretto, ma nello stesso tempo proietta il pubblico nel gorgo della pittura incandescente e premonitrice che accomuna i due artisti, per finire quasi letteralmente “dentro” l’opera più trasgressiva che Vedova abbia mai dipinto: più di 100 tele in un unico grande ciclo monumentale, “in continuum”, omaggio al suo profeta Tintoretto».
Se dunque a chiudere il percorso di mostra, sfidando la verticalità della sala del Senato, è la monumentale e visionaria installazione «In continuum, compenetrazione/traslati ’87/’88» di Emilio Vedova, è invece l’importante prestito dal Musée du Louvre, la tela da cui il progetto espositivo dichiara di aver preso avvio, ad aprirlo: l’«Autoritratto» di Tintoretto del 1588. E forse, a ben guardare, i due pittori veneziani si somigliano anche in alcuni tratti somatici: folta barba bianca (tanto che Barabba fu il nome da partigiano di Vedova durante la Resistenza) e sguardo intenso.
Un’intensità, distintiva in entrambi, che certo si coglie nelle loro pennellate, nell’uso della luce, nel marcato dinamismo. Com’è possibile esperire dalla visita alla cinquantina di opere esposte in mostra a Torino: dalle ancone dei Camerlenghi al ciclo delle «Metamorfosi», dai disegni giovanili di Vedova del 1936 ai lavori degli anni Ottanta. Per non parlare delle tele di Vedova degli anni Quaranta e Cinquanta, come la «Moltiplicazione dei pani e dei pesci (da Tintoretto)» o «La crocifissione (da Tintoretto)».
«Tintoretto è stato una mia identificazione. Quello spazio appunto una sede di accadimenti. Quella regia a ritmi sincopati e cruenti, magmatici di energie di fondi interni di passioni di emotività commossa. (…) Teatri di dialogo divorati…»: così scriveva Emilio Vedova nel 1991, riconoscendo in Tintoretto un riferimento fondativo per la propria formazione artistica. Un confronto, ad esempio, già messo in luce nel 2018 a Venezia dalla mostra, a cura di Ludovico Pratesi, «Dialoghi contemporanei con Tintoretto», che nell’occasione fece appunto «dialogare» colui che Giorgio Vasari definì «lo stravagante, capriccioso, presto e risoluto, et il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura», in assolo con Emilio Vedova a Palazzo Ducale ma anche con artisti contemporanei internazionali come Yan Pei-Ming, Wangechi Mutu e Matthew Monahan o Josh Smith.

Autore: Sanzia Milesi

Fonte: www.ilgiornaledellarte.com 16 settembre 2025

A cura di DMF
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